Storie, immagini d’altri tempi, curiosità, che raccontano il nostro paese.
Omicidio in piazza
a cura di Enrico Benevello
Il 2 ottobre 1892 è una consueta domenica piovosa di una, apparentemente, normale festa di Lombriasco di 124 anni fa.
Com’è ormai consuetudine secolare, gli abitanti del borgo, allora come oggi poco più di mille, sono in festa.
Un vecchio ballo pubblico, col pavimento in legno, piazzato attorno al pilastro centrale dell’ala comunale di fianco alla chiesa di San Sebastiano, è al centro dell’attenzione dei villici. A poca distanza ci sono i binari del tranvai posati appena dieci anni prima per la nuova tranvia Torino-Saluzzo inaugurata nel 1883.
Un giocoliere si esibisce nei pressi del ballo alla luce di un lume a petrolio; un banco vende dolcetti; una giostrina per bambini è ormai ferma data l’ora tarda; un teatrino di marionette ha le tende abbassate dopo l’ultimo spettacolo delle 18,30. Poco distante, una pianola a tamburo, azionata da un giovane uomo con una scimmietta sulle spalle, esegue, negli intervalli delle musiche da ballo, uno dei soliti motivi popolari.
Nei dintorni di quel grumo di vita festosa c’è il buio totale: il primo abbozzo d’illuminazione arriverà infatti in paese solo nel 1898 con sei fanali a petrolio, che il Comune dispone che vengano accesi al calar della sera salvo che nelle notti di luna piena; la prima illuminazione elettrica arriverà, con dodici lampade, solo nel 1907.
Il vicino castello che fu dei Ponte è ancora disabitato da quando se ne sono andate le suore agostiniane: fra due anni, nel 1894, arriveranno a occuparlo e a ridargli vita i componenti di quella nuova congregazione religiosa nata a Torino alcuni anni prima, i Salesiani.
Due ubriachi, litigando tra loro, urlano e bestemmiano importunando i vicini; tutti li conoscono, qualcuno li maltratta, altri li zittiscono, alcuni ragazzacci li scherniscono.
Sono le ventidue: le ragazze per bene a quell’ora sono già a casa o, fuori del ballo, vicine alle mamme e così pure i ragazzini.
Attorno allo sgangherato “ballo a palchetto” si assiepa quindi la solita varia umanità: donne con bambini in braccio, ragazzotti, giovani, signori attempati tra i quali qualcuno un po’ alticcio. Tutti, uomini e donne, indossano il vestito della festa e calzano i consueti zoccoli perché qualsiasi altra calzatura sarebbe inadeguata tra le pozzanghere. Qualche coppia di persone sposate o di giovani ufficialmente fidanzati, che si sono portate in una sacca le scarpe buone per il ballo, si esibisce nei moderni balli della mazurca e del valzer. I suonatori sono i soliti che la domenica strimpellano nella Trattoria della Vite posta in via san Sebastiano e citata da Edoardo Calandra nel romanzo La Bufera, dove è presente ancora oggi l’affresco murale del 1517, o nella Locanda del Sole vicino alla fermata del tranvai o nel Caffè dell’Unione, situato nel tratto di via Ponte oltre i binari o nell’Albergo del Moro, posto vicino al municipio o nell’Albergo dei Tre Re, di fianco all’ala.
Tra la folla sono presenti Flipòt (per i non conoscitori del dialetto Flipòt è il vezzeggiativo di Filippo, Flip) nipote di Flip e cugino di Flipèt, 27 anni, e Cichin (vezzeggiativo di Francesco, Cesco), nipote di Cesco e cugino di Cichinòt, 29 anni, che, come tutti sanno, appartengono a due famiglie che da tempo hanno un contenzioso: da anni litigano a causa del pozzo, posto nella recinzione comune, per attingere l’acqua per abbeverare le tre mucche della famiglia di Flipòt e le quattro della famiglia di Cichin oltre alle nove persone della famiglia di Flipòt (nonna, madre, il padre Giuspin, Flipòt e altri cinque fratelli e sorelle) e le sette della famiglia di Cichin (due nonni, la madre di Cichin, Cichin e tre sorelle). Da anni litigano perché si rinfacciano reciprocamente di non effettuare i lavori di spurgo e manutenzione necessari al pozzo per tenerlo pulito: un anno fa era caduto nel pozzo il cane di Cichin e la famiglia di Flipòt aveva dovuto tirarlo fuori, morto, e spurgare il pozzo perché gli adulti dell’altra famiglia, quel giorno, erano tutti nei campi. Sei mesi fa era caduta nel pozzo la capra di Flip che aveva provveduto a recuperarla e a spurgare il pozzo. La famiglia di Cichin ribatteva però che la pulizia e lo spurgo ordinari del pozzo toccavano sempre a loro perché gli altri fingevano di dimenticarsene e sovente si dimenticavano pure di mettere l’asse di copertura, per non parlare del cambio della corda del secchiello che doveva essere a carico delle due famiglie ad anni alterni, ma che non veniva mai cambiata al tempo giusto. A complicare i rapporti fra le due famiglie, nel mese di luglio di quel 1892, avvenne che due mucche di Flipòt, che avevano trainato il carro fino all’appezzamento di 70 tavole che la famiglia possiede sulla Bolòva (zona agraria lungo la strada per Osasio) ed erano state legate a un albero per mangiare un po’ di erba lungo la riva, si erano liberate ed erano finite nel campo di meliga di 55 tavole di Cichin danneggiandolo. Cichin, accortosi del fatto, aveva richiamato duramente il vecchio Giuspin, il sessantenne (!) padre di Flipòt, dicendogli che era un falabrach e flanba pan (“sciocco e fannullone”) e che non era neanche in grado di controllare due vache turge e tisiche (“vacche sterili e tisiche”). Giuspin sarebbe passato sopra al falabrach e flanba pan, ma non al fatto che le sue vacche fossero definite turge e tisiche: entrambe avevano già partorito un paio di vitelli caduna negli ultimi tre anni e da quelle due vacche e dall’altra a casa mungeva regolarmente cinque litri di latte al mattino e cinque alla sera; la famiglia ne consumava giornalmente metà (zuppe mattino e sera per nove persone più il necessario per produrre un po’ di burro e un po’ di formaggio); cinque litri al giorno li portava alla sera al punto di raccolta di via Ponte che a sua volta conferiva tutto il latte del paese al caseificio di Casalgrasso.
Giuspin riferì al figlio il fatto e il figlio minacciò di farla finita una volta per tutte con quel can rognos ëd Cichin (“cane rognoso di Franceschino”). Giuspin nel riportare i fatti al figlio non si era soffermato sui particolari; ad esempio aveva omesso di dire al figlio che nell’eccitazione aveva risposto a Cichin: “turge a saran cole vache ëd tue seure“, (“sterili saranno quelle… di tue sorelle”).
A questo punto è necessario aprire il sipario su un altro argomento che va a toccare corde ancora più delicate e che ha condotto a fare esplodere un rancore a lungo sopito.
Occorre ricordare che a Castel Rainero, piccolo agglomerato a due chilometri dal concentrico, abitava Vica (Lodovica), una ragazza di 23 anni, non bellissima, ma buona lavoratrice, che aveva concluso anni prima la sua carriera scolastica (prima e seconda elementare) a Lombriasco e che periodicamente veniva in paese a fare le commissioni presso il panettiere nei pressi del campanile (panaté dël ciochè) e al negozio di alimentari che si trovava all’angolo di via Ponte con via San Sebastiano.
Tutti sapevano che Flipòt era stato visto alcuni mercoledì mattina (il mercoledì era il giorno delle commissioni e Flipòt attendeva il passaggio della ragazza nei pressi della fornace) scambiare parole con Vica e quindi se ne poteva dedurre che i due “si parlassero” che era un modo dialettale d’un tempo per dire che due giovani erano sulla strada che conduceva al matrimonio. Nonostante ciò fosse ormai noto a tutti, Cichin, quella sera, chiese sfrontatamente alla madre di Vica, Rita, presente fuori del ballo, il permesso di ballare un valzer con Vica: il permesso gli fu accordato. Flipòt, più timido, era da un po’ che, titubante, aspettava l’occasione per compiere il medesimo passo che Cichin compì senza troppi ripensamenti.
Alla vista di questo ignobile spettacolo, l’ingresso di Vica e Cichin sul ballo, Flipòt non ci vide più; dopo essersi roso il fegato alcuni minuti, corse a casa, estrasse un coltello dalla credenza e ritornò in prossimità del ballo, dove vide, già fuori del recinto delle danze, Cichin mentre parlottava con qualcuno. Si fece largo a gomitate tra gli astanti, si avventò sul presunto avversario e affondò i venti centimetri di lama nella pancia dell’usurpatore. Parecchi uomini si precipitarono su Flipòt mentre stava già infilando per la terza volta il coltello nel malcapitato.
Alcuni corsero a chiamare don Pietro Zaffiri, il parroco che conobbe don Bosco, che giunse con il sacro olio per l’Estrema Unzione invitando i presenti al silenzio e alla preghiera. Qualcuno corse a chiamare la levatrice Rosin (Rosina), la più elevata di grado nel settore sanitario residente in paese; altri due partirono di corsa a chiamare il medico condotto Michele Longo a Pancalieri.
Cichin stava faticosamente cercando attorno a sé aria per i sempre più affannosi respiri fra le grida strozzate di terrore dei presenti attorno al ballo, dove la musica si ammutolì, e gli insulti all’aggressore che, nonostante la presa di tre uomini, riuscì con la forza della disperazione a liberarsi e a fuggire.
Flipòt fu cercato dagli abitanti e dai carabinieri di Pancalieri per parecchi giorni. Il 15 ottobre fu rintracciata una specie di tana abbandonata in zona Giairé, in prossimità del fiume Po, non lontano dal traghetto del Porto. I militi erano stati là indirizzati da alcuni paesani che avevano individuato la presenza di qualcuno in prossimità del fiume, ma non trovarono più nessuno.
Le solite voci, mesi dopo, raccontarono che Flipòt giunse a Genova nel gennaio del 1893 dove lavorò nel porto qualche tempo fino a che riuscì a racimolare i soldi per un viaggio in Argentina dove giunse nel mese di luglio del 1893 vestito di stracci e carico di pidocchi. Corre voce che venne riconosciuto da un emigrato lombriaschese, certo Pellosio, in una località detta Armstrong, nei pressi della città di Rosario in provincia di Santa Fe, a 300 km a nord di Buenos Aires, ma le notizie sul suo conto finirono lì. Il romanzo della sua vita continuò anni dopo nel racconto fantastico dei paesani: alcuni sostenevano che fosse divenuto proprietario di una tenuta di duemila giornate, grande come Lombriasco, con 10 mila capi di bestiame e che ebbe 7 figli di cui il primogenito fu chiamato Cichin, e che, infine, a quanto si disse, morì nel 1949.
La sua vita era stata rovinata da un gesto che mai avrebbe voluto compiere: se anziché correre d’impulso a casa a cercare un coltello avesse magari fatto una corsa fino alla fabbrica di vernici posta un chilometro fuori paese, verso Campagnino, per sbollire i cattivi sentimenti, sarebbe stato molto meglio: ma così è la vita, non si ha mai quella di riserva da ripercorrere.
Il lettore di questo breve racconto si domanderà: “Ma chi è che ha fornito queste notizie all’autore dell’articolo”? La risposta è: “Nessuno”. L’autore ha lavorato, per buona parte, di fantasia: il fatto autentico è di certo l’omicidio, che è veramente accaduto in quanto documentato da una delibera del Consiglio Comunale del 1 gennaio 1893 che dice: “Visto che il Sindaco (Michele Canavesio che, in seguito ad emigrazione in America e conseguente assenza dai Consigli dal 17 novembre 1892, fu dichiarato decaduto il 22 maggio 1893) aveva fatto cessare di suonare l’orchestra sul ballo pubblico per causa della grave disgrazia successa nella sera del 2-10-1892 il consiglio delibera di diminuire il fitto del sito del ballo pubblico di lire 22 portandolo da 92 a 70 lire”. Senza questa notizia, contenuta in poche righe nel registro delle delibere del Comune di Lombriasco, e senza l’atto di morte rintracciato nei registri parrocchiali e scritto dal vice curato teologo Celestino Olivero che riporta l’ora della morte, ore 23, il nome dell’ucciso e il nome del di lui padre e della di lui madre, forse nessuno ai giorni nostri avrebbe saputo dell’omicidio sulla piazza del ballo di Lombriasco avvenuto il 2 ottobre 1892 specie dopo che gli ultimi testimoni del fatto chiusero gli occhi oltre mezzo secolo fa.
NDR: Le motivazioni dell’omicidio sono frutto di fantasia, ma reali sono le inquadrature storiche, i dati di contorno, i personaggi citati con nome e cognome; sono verosimili le condizioni di vita tratteggiate, la tipologia delle liti tra vicini, gli stati d’animo in cui l’evento è stato ambientato. Le ricostruzioni proposte da qualche anziano, cui questi avvenimenti furono raccontati, sono risultate troppo contrastanti tra loro e quindi non utilizzabili.
Se non si aveva altro da fare si andava a scuola
a cura di Enrico Benevello
NEL LONTANO SETTECENTO…
Correva l’anno 1713 quando l’Intendente di Pinerolo del Ducato di Savoia invitava i comuni della provincia (Lombriasco apparteneva alla provincia di Pinerolo) ad aprire scuole comunali “con maestri approvati dal curato”. Questa è, per le nostre terre, la prima dimostrazione dell’interesse pubblico verso l’istruzione di massa: siamo però appena all’invito.
LA LUNGA MARCIA DELL’OTTOCENTO
All’inizio dell’Ottocento tutti i comuni del Piemonte provvedevano in qualche modo all’istruzione dei bambini: talvolta le famiglie contribuivano alle spese. Chi non poteva o riteneva non necessario che i figli studiassero non mandava i figli a scuola e tutto finiva lì. Merita a questo punto stralciare ampi brani di una deliberazione del Comune di Lombriasco del 10 ottobre 1819 di notevole interesse per l’inquadramento degli usi e dei costumi di quei tempi. La delibera fa notare come nel nostro paese già si praticasse, all’inizio dell’Ottocento, la gratuità scolastica salvo rischiare talvolta, per il compenso troppo basso, di non trovare insegnanti disponibili ad accettare. Ne riportiamo alcuni brani.
“… Trovandosi vacante l’impiego di un maestro di questa scuola… e desiderando il Consiglio di non lasciare nei venturi anni infruttuosa la scuola di questa Comune sulla considerazione massima che nella scuola la Gioventù… riceve… li principj d’una buona educazione e morale, e civile e sulla considerazione ancora, che in questa comune havvi scarsità di sacerdoti a beneficio pubblico non restandovi altri che il Sig. Prevosto ed il Sig. Curato, ha perciò nominato per nuovo maestro nella Scuola di questo Comune il M.° Ill.e M.° Rev. Sig. Prete e Teologo Robasto Lorenzo… che dovrà sottomettersi all’esecuzione ed osservanza di tutti gli antichi capitoli, ed in specie dei seguenti capi:
1) … attendere alle Confessioni per quanto lo sarà concesso dal proprio impiego…
2) … cellebrare ne’ giorni festivi la Messa nella Chiesa di San Sebbastiano…
3) … nei giorni festivi radunare gli scuolari mezz’ora prima delle funzioni Parrocchiali del mattino, e della sera, e dalla scuola accompagnarli alla Chiesa facendoli marciare a due a due sotto la sua surveglianza…
4) Nelle prime Domeniche di ciascun mese non sarà tenuto di celebrare la messa nella predetta chiesa, ma… nella Chiesa Parrochiale all’Altare delle Madonna del S.mo Rosario (la prima cappella a destra n.d.a.)…
Per correspettivo di quanto sovra il predetto Sig. Teologo Robasto godrà di tutti gli onori, dritti e prerogative annessi al suo impiego, e godrà specialmente di uno stipendio (annuo) della somma di lire cinquecento… E per far luogo all’admissione di tale stipendio si pongono sotto la considerazione dell’ill.mo Sig. Conte intendente le seguenti osservazioni:
1) Non essere sperabile di rinvenire un Soggetto avente le necessarie requisizioni per esercire l’impiego di maestro a
minor somma di L. 500, come l’esperienza ha già fatto vedere negli anni anteriori.
2) Non essere praticabile in questa Comune il concorso dei Padri degli allievi nel pagamento di tale stipendio per causa che tale concorso non è mai stato in questa Comune praticato nemmeno nel precedente Governo francese; e per causa della piccola Popolazione della Comune non eccedente le 1000 anime, per cui non havvi un forte numero d’allievi, ed il concorso verrebbe a gravitare su pochi… i quali disgustati lascierebbero deserta la scuola piuttosto che succombere a tale spesa con pregiudicio della buona educazione de’ figli.
3) Che questa Comune… può far fronte a tutte le sue spese…
18 dicembre 1819: da una delibera si apprende che “nel 1818 la scuola rimase chiusa… con grave pregiudicio dei figli per mancanza di soggetto che abbia voluto acquietarsi a detta somma pretendendo ognuno Lire 600”.
5 luglio 1821: il maestro teologo Robasto, in considerazione dello stipendio dei maestri dei paesi vicini e del fatto che d’inverno ha 73 scuolari e nella bella stagione 42 chiede a partire dal prossimo anno scolastico, l’aumento da 500 a 550 lire annue.
30 ottobre 1823: è nominato maestro l’ex cappuccino sig. Prete Giuseppe Abrate con l’annuo stipendio di Lire 550.
24 agosto 1830: viene nominato maestro d. Pautasso Filippo a Lire 600 annue.
9 dicembre 1837: il Sindaco rappresenta al Consiglio la grande necessità di costruire una nuova Casa Comunale e dice: “Nell’attuale casa ad uso dell’amministrazione non vi sonoche due camere piccole, la prima d’ingresso in cui vi sono gli archvi comunali, la seconda serve alle adunanze consulari ambedue con solaio in bosco e malamente costrutto, indi non rimangono che due camere ad uso ed abitazione del maestro ed altra camera per la scuola: non restarvi in conseguenza conveniente alloggio per il segretario comunale il quale non potrà mai aversi sul posto, siccome il pubblico voto, se non è provvisto di abitazione”. Il sindaco fa notare che per far costruire una nuova casa
comunale si è già fatto da dieci anni e più l’acquisto della casa del signor Rolfo (l’attuale municipio): l’allora casa comunale si trovava di fianco all’ala, di fronte all’attuale municipio. La nuova casa comunale dovrà “servire decentemente all’uso dell’amministrazione, d’alloggio al Maestro di scuola ed alla scuola medesima”.
5 gennaio 1838: viene affidato l’incarico del progetto del nuovo municipio all’arch. Severino Rubeis; il costo dell’opera è previsto di L. 17.292 (nel 1830 la costruzione della torre campanaria era stata appaltata per 17.757 lire).
20 novembre 1840: è nominato maestro in sostituzione di d. Pautasso certo d. Giuseppe Casalis.
16 novembre 1850: il segretario cede una camera del suo alloggio (si presume già nel nuovo municipio) per consentire di ricavare un ambiente per “la scuola delle figlie” del paese.
26 maggio 1851: considerato che finora la scuola aveva luogo nella stanza del maestro per la classe maschile e non aveva luogo per le ragazze per mancanza di spazio, il Consiglio delibera di trasformare la stalla e una tettoia del municipio in due aule scolastiche (è probabile si tratti dei locali oggi destinati ad ambulatorio e farmacia).
29 maggio 1851: viene istituita, in quanto comandata dai superiori uffici, una scuola femminile “per essere di giovamento alle ragazze di questo paese che la vorranno frequentare” e viene nominata maestra Luigia Varesio “la quale trovasi legalmente provvista delle patenti di idoneità”. Lo stipendio annuo sarà di L. 400. La maestra dovrà avere per “coadiutrice nel disimpegno di sue funzioni Cattarina Berardo di questo paese”. (Questa Berardo probabilmente da oltre 15 anni insegnava “senza avere le patenti” e probabilmente veniva pagata direttamente dai privati). La Berardo dovrà ricevere dalla Varesio L. 150. Oltre allo stipendio il Consiglio accorda alla maestra Varesio l’abitazione della camera comunale posta sopra il macello e alla Berardo l’abitazione sopra la ghiacciaia (questi fabbricati di proprietà pubblica erano siti oltre l’attuale farmacia in prossimità dell’ingresso dell’Istituto Salesiano).
12 settembre 1857: si rileva da una delibera che le due classi, maschile e femminile, convivono, con la presenza di due insegnanti, in un unico locale e che la frequenza alla scuola è, in media, di sessanta unità e che “passata quasta stagione” la media non supera il numero di quindici (con la primavera i bambini dovevano portare le mucche al pascolo e lavorare nei campi).
27 agosto 1857: il Consiglio respinge la proposta delle Superiori autorità di erigere un asilo infantile perché non ha i fondi necessari.
25 luglio 1858: il Consiglio Comunale nomina maestra certa damigella Catterina Morsetti di Carmagnola.
SCUOLE PER MAESTRI
Nel 1853, il ministro Cibrario, emanò un regolamento in base al quale le scuole per formare i maestri assumevano il nome di “scuole magistrali” e venivano suddivise in maschili e femminili: frequentando il corso inferiore, composto di due periodi di studio (sei mesi più quattro mesi), si conseguiva la patente di grado inferiore che consentiva di insegnare nei primi due anni delle elementari; frequentando il corso superiore, della durata di sei mesi, si conseguiva la patente d’insegnamento superiore (terza e quarta elementare).
LA LEGGE CASATI
Nel 1859 arrivò la legge Casati che costituì uno spartiacque nella storia della pubblica istruzione. Essa stabiliva l’obbligo per ogni Comune del regno di Sardegna, di cui il Piemonte era parte, di istituire scuole gratuite per tutti i bambini. Stabiliva inoltre che l’istruzione elementare fosse di due gradi: il grado inferiore, prima e seconda, obbligatorio e il grado superiore, terza e quarta, facoltativo. L’obbligo per ogni Comune era di disporre di almeno un’aula, nella quale dare l’istruzione elementare del grado inferiore ai fanciulli, ed un’altra aula per le fanciulle. Nessuna classe poteva ospitare simultaneamente più di settanta allievi. Quando questo numero fosse oltrepassato per una certa parte dell’anno, il Comune doveva provvedere a dotarsi di una seconda aula. In questo ultimo caso l’insegnamento della classe inferiore poteva esser affidato, sotto la direzione del maestro principale, ad un sottomaestro. Erano previste per coloro che non mandavano i figli a scuola punizioni “a norma delle leggi penali dello Stato”, punizioni che non avevano mai luogo perché nessuno di quei poveri diavoli avrebbe avuto i soldi per pagare. La legge Casati modificava radicalmente le scuole per maestri. Il corso “per prendere le patenti” si compiva in tre anni. Nel 1861, con l’Unità, la legge Casati venne estesa a tutta Italia. Per essere chiamati a reggere una scuola pubblica i maestri dovevano aver compiuto 18 anni, e le maestre 17 anni. Potevano tuttavia, prima di questa età, insegnare, in qualità di sotto- maestri, in una classe, mai prima dei 16 anni i maestri, e 14 le maestre. Gli stipendi da assegnare ai maestri delle scuole, classificate in sei categorie (tre urbane e tre rurali), non potevano essere inferiori al minimo stabilito dalla legge: a chi insegnava a Lombriasco, borgo rurale di terza categoria, spettava il livello più basso di compenso. Questo minimo era ridotto di un terzo per le maestre (!); i sotto-maestri e le sotto-maestre avevano diritto ad un compenso eguale alla metà di quello che spettava ai relativi titolari.
L’ANALFABETISMO
Se si scorrono i dati statistici ufficiali riguardanti l’analfabetismo in Italia dall’Unità scopriamo che nel 1861 le persone analfabete erano il 78%; in Piemonte il livello era solo (!) del 54%. Facendo tuttavia un semplice ragionamento si può ritenere che per questo piccolo borgo, lontano dalla città, la percentuale
degli analfabeti fosse più prossima alla media nazionale che non a quella della nostra Regione che registrava nelle città dei tassi molto più bassi. Nel 1921 gli analfabeti erano calati al 31% (in Piemonte il 7%) e nel 1951 al 13% (in Piemonte il 3%). Mentre nel Novecento era ritenuto non analfabeta chi sapeva minimamente leggere, scrivere e far di conto, nell’Ottocento era ritenuto non analfabeta chi sapeva fare anche solo la propria firma.
6 novembre 1870: viene istituita per il periodo invernale, una classe mista che comprende i bambini più piccoli di ambo i sessi che arrivano fino alla sillabazione. Ciò significa che anziché esserci la pluriclasse maschile da una parte e quella femminile dall’altra con almeno 50 allievi ognuna, nel periodo invernale ci saranno 3 classi: una mista per i più piccoli, e una maschile e una femminile per i più grandicelli. L’anno successivo si deciderà di eliminare la scuola mista e di dare un coadiutore al maestro della scuola maschile per il periodo dicembre-marzo.
21 novembre 1871: il Consiglio decide di accettare che i figli degli abitanti di Campagnino, che possiedono stabili e pagano contribuzione al Comune di Lombriasco, possano mandare i loro figli a scuola a Lombriasco.
30 maggio 1875: siccome i soldi scarseggiano, il Consiglio comunale decide di ridurre lo stipendio al maestro comunale a sole L. 600 più alloggio.
17 settembre 1877: viene nominato insegnante certo Camillo Zaini nativo in provincia di Milano con lo stipendio annuo di L. 600 “egli dovrà custodire i suoi alunni nei giorni festivi alle funzioni parrocchiali ed insegnare il catechismo in chiesa nei giorni istessi”. Nel 1877 la legge Coppino porta a cinque anni la durata della scuola elementare con l’obbligo di frequenza fino alla terza.
27 settembre 1878: il Consiglio discute la proposta di tenere le lezioni scolastiche nel periodo successivo al 15 aprile dalle ore 10,30 alle 14 “cioè nelle ore fuori pascolo delle bovine”. Il Consiglio boccia la proposta e decide di continuare a mantenere l’orario spezzato.
29 ottobre 1883: il Consiglio approva l’adozione di tre insegnanti: un maestro per la scuola maschile (L. 600 annue); una maestra per la scuola femminile (L. 420 annue); una maestra per la scuola mista (IV e V maschile e femminile) per L. 500 annue.
8 marzo 1887: si decide di sopprimere la scuola mista (IV e V) non obbligatoria in quanto dei 115 circa iscritti a tutti i cinque anni solo pochi frequentano la scuola dell’obbligo (I, II, III) nei mesi non invernali e perché con due classi si avrebbero solo (!) 55 allievi per classe “nei periodi di punta” contro i 70 (!) ammessi dalla legge.
ARRIVA IL NOVECENTO
25 ottobre 1903: il Consiglio prende visione delle proposte del veterinario Saracco e della signora Biestro Didier per l’impianto di un giardino d’infanzia ed esprime voto di fiducia per l’opera intrapresa.
8 maggio 1904: si delibera di cedere gratis e per 10 anni al giardino d’infanzia due camere al piano terreno della casa comunale, che unite ad altre due che il segretario comunale cede, unitamente ad un tratto di giardino, servono per fare tale desiderato impianto.
12 giugno 1904: viene confermata l’apertura del giardino d’infanzia: solo il consigliere Tabusso è contrario dicendo che i locali non sono idonei. Sarebbe favorevole a dare un contributo di L. 300 all’anno oppure L. 3.000 una tantum.
27 novembre 1904: il Consiglio cede all’asilo per qualche mese la tettoia per “il ricovero dei bambini in caso di pioggia”.
27 gennaio 1909: il Consiglio licenzia il maestro Sabino Cinato. Anche se i licenziamenti avvengono con estrema facilità, in questo caso la notizia merita menzione perché il Sindaco dice che il Cinato “come maestro merita lode, però è molto battagliero” e l’assessore Pecchio riferisce che dietro l’invito di fare scuola 10 mesi consecutivi, come consentito dalla legge, il maestro si è rifiutato ed inoltre “è molto noioso”. Nel 1911 la legge Orlando prolunga l’obbligo scolastico fino al dodicesimo anno di età, ma l’applicazione rimarrà nel libro dei sogni; in realtà la maggioranza dei bambini di quegli anni abbandona ancora la scuola dopo le prime classi.
16 novembre 1913: il Consiglio comunale delibera di istituire una scuola mista comunale per gli alunni e le alunne della prima classe e così “l’attuale maestra farà la seconda classe (mista) ed il maestro la terza (mista) tanto al mattino che alla sera con molto più profitto essendovi quasi nessuno che faccia la quarta classe in questo paese piccolo e agricolo”.
16 novembre 1924: il Consiglio Comunale chiede all’Ispettore scolastico di anticipare a maggio la chiusura delle scuole anziché a luglio eliminando la mezza giornata di vacanza del giovedì pomeriggio e tutte le vacanze facoltative. In questo modo gli scolari non saranno obbligati a disertare le lezioni per i lavori dei campi.
3 novembre 1936: il Podestà delibera di prendere in affitto dal signor Bartolomeo Benevello, proprietario della casa di fronte al municipio, il piano primo di detta casa per destinarla all’ospitalità di due aule scolastiche previo tramezzamento del salone in attesa di trovare altra sistemazione. Nel 1939 le scuole verranno trasferite al “casone” (edificio sito all’angolo tra via S. G. Bosco e via Belvedere) dove resteranno fino al 1951 quando ritorneranno nei locali del municipio e nei locali attigui per trovare poi destinazione finale in un edificio apposito che sorgerà nel 1980.
10 settembre 1941: su richiesta della Direttrice Didattica di None le classi quarta e quinta vengono sdoppiate per passare ai doppi turni: 48 iscritti sono troppi per un’aula di 40 metri quadrati. Nel primo dopoguerra erano ancora presenti sporadici casi di bambini che non raggiungevano la “licenza elementare”. Abbastanza frequenti erano invece i casi in cui il compimento dell’obbligo scolastico fino alla quinta si raggiungeva con due o tre anni di ritardo. Quelli tuttavia erano gli anni in cui si cominciava a capire l’importanza dell’istruzione per i ragazzi. Il vero spartiacque nella considerazione del ruolo della scuola si ebbe nel 1962 quando fu istituita la scuola media dell’obbligo che di fatto portava l’obbligo scolastico da cinque ad otto anni e che permetteva l’accesso a tutte le scuole superiori. Nello stesso periodo si diffondono in Italia le classi miste che progressivamente sostituiranno le classi composte esclusivamente da alunni del medesimo sesso.